Qualche anno fa il New York Times ha pubblicato un articolo molto interessante , la cui versione originale é in fondo al post. Il giornalista riprendeva le ricerche svolte negli ultimi 30 anni sulla “sindrome dell’impostore”.
La sindrome dell’impostore definisce un comportamento che deriva dall’essere intimamente convinti di non essere abili, né competenti o adeguati come invece pensato e creduto dagli altri.
Una specie di paura di “fregare il prossimo” per averlo indotto a sopravvalutarci.
Le domande contenute nei questionari di valutazione di questa patologia contengono solitamente la richiesta di esprimere il proprio accordo o disaccordo rispetto a affermazioni di questo tipo:
- “ho la sensazione che i miei successi non siano meritati e siano dovuti solo al caso e alla fortuna”,
- “gli altri credono che io sia più preparato e competente di quanto lo sia in realtà”,
- “se ottengo un successo, aspetto a goderne perché non sono sicuro di meritarlo”,
- “se qualcuno mi riconosce qualcosa o si sbaglia o lo fa per una ragione diversa o l’ho indotto io in errore”,
- “ a volte sogno che prima o poi qualcuno scoprirà che devo ancora superare l’esame della patente o gli esami scolastici anche se guido e dico di essere laureato”.
Chi soffre della sindrome dell’impostore tende ovviamente a avere meno fiducia in sé stesso, è più soggetto a paure e cambi di umore e viene spesso colpito da crisi di ansia. In alcune situazioni la paura di essere “scoperti” diviene un vero e proprio terrore che può provocare una “paralisi” comportamentale.
L’articolo del New York Times si domanda se questa “sindrome” sia solo una patologia caratteriale o se è anche una strategia sociale più o meno consapevole.
Nel 2000 alcuni ricercatori della Wake Forest University, hanno notato che le persone, che ottenevano punteggi elevati nella valutazione della sindrome dell’impostore, modificavano sensibilmente le loro risposte in un successivo test “anonimo” sulla valutazione delle proprie competenze e capacità.
I presunti “impostori” che pubblicamente dichiaravano la loro paura e il loro senso di inadeguatezza, nelle dichiarazioni anonime giudicavano molto più alte le loro possibilità di successo e abilità.
I “presunti impostori” erano degli “ipocriti mascherati".
I presunti “impostori” adottavano la depressione o l'autosvalutazione come una forma di strategia sociale, anche nelle situazioni in cui erano intimamente più sicuri di sè di quanto potessero rivelare al pubblico.
Esempio: “Non mi sono preparato, non ho studiato niente, non sono riuscito nemmeno a leggere gli appunti! Sarà un disastro oh povero me!”.
Risultato: il successo, il voto più alto, i complimenti.
“Ho mandato tutti i documenti sbagliati, sono arrivato in Canada senza permesso, dentro una valigia di cartone e in pieno inverno ero in infradito e canottiera”.
Risultato: "ma come sei stato bravo ad avere il visto e come sei forte e robusto per non esserti ammalato. Mi aiuti, tu che sei bravo ? ".
Abbassando le aspettative del Mondo, dichiarando la propria impreparazione e la propria inadeguatezza o “umiltà” ci si accredita come sfortunati, deboli, inoffensivi e in questo modo si acquista un bonus di maggiore considerazione in caso di successo e una forma di solifarietà in caso di insuccesso. Se poi si conosce già il risultato, la truffa è perfetta. Mi deprezzo per vendermi meglio.
La sindrome dell’impostore diventa una strategia di autopromozione.
Tra l'altro proporsi come incapace è molto più efficace che esserlo.
E’ la differenza che passa fra dire di aver bevuto prima di un esame di ammissione e farlo veramente. La prima strategia fornisce un alibi, l’altra è autodistruttiva.
Proporsi con un profilo molto basso riduce la propensione che ognuno di noi ha nel riconoscere la propria competenza in maniera autoreferenziale. La gente tende a essere meno critica e molto più indulgente nei confronti di sé stessa. La fiducia in sé stessi è essenziale e assolutamente necessaria: credere fermamente di essere importanti e di avere un ruolo aiuta tutti a muoversi e a cercare nuove opportunità.
L’equilibrio è la caratteristica che ci dovrebbero insegnare a scuola. Credere in sé stessi, ma non esagerare, essere umili, ma non farsi del male, dire le bugie, ma solo alla maestra!
Soprattutto, non credete mai troppo agli altri, fatevi una vostra idea con la vostra esperienza e ascoltate tutti, ma non credete a tutti, magari sono degli “impostori”.
Segue l`articolo originale del New York Times:
Feel Like a Fraud? At Times, Maybe You Should
Published: February 5, 2008
Stare into a mirror long enough and it’s hard not to wonder whether that’s a mask staring back, and if so, who’s really behind it.
A similar self-doubt can cloud a public identity as well, especially for anyone who has just stepped into a new role. College graduate. New mother. Medical doctor. Even, for that matter, presidential nominee.
Presidents and parents, after all, are expected to make crucial decisions on a dime. Doctors are being asked to save lives, and graduate students to know how Aristotle’s conception of virtue differed from Aquinas’s conception of — uh-oh.
Who’s kidding whom?
Social psychologists have studied what they call the impostor phenomenon since at least the 1970s, when a pair of therapists at Georgia State University used the phrase to describe the internal experience of a group of high-achieving women who had a secret sense they were not as capable as others thought. Since then researchers have documented such fears in adults of all ages, as well as adolescents.
Their findings have veered well away from the original conception of impostorism as a reflection of an anxious personality or a cultural stereotype. Feelings of phoniness appear to alter people’s goals in unexpected ways and may also protect them against subconscious self-delusions.
Questionnaires measuring impostor fears ask people how much they agree with statements like these: “At times, I feel my success has been due to some kind of luck.” “I can give the impression that I’m more competent than I really am.” “If I’m to receive a promotion of some kind, I hesitate to tell others until it’s an accomplished fact.”
Researchers have found, as expected, that people who score highly on such scales tend to be less confident, more moody and rattled by performance anxieties than those who score lower.
But the dread of being found out is hardly always paralyzing. Two Purdue psychologists, Shamala Kumar and Carolyn M. Jagacinski, gave 135 college students a series of questionnaires, measuring anxiety level, impostor feelings and approach to academic goals. They found that women who scored highly also reported a strong desire to show that they could do better than others. They competed harder.
By contrast, men who scored highly on the impostor scale showed more desire to avoid contests in areas where they felt vulnerable. “The motivation was to avoid doing poorly, looking weak,” Dr. Jagacinski said.
Yet if feelings of phoniness were all bad, it seems unlikely that they would be so familiar to so many emotionally well-adapted people.
In a 2000 study at Wake Forest University, psychologists had people who scored highly on an impostor scale predict how they would do on a coming test of intellectual and social skills. An experimenter, they were told, would discuss their answers with them later.
Sure enough, the self-styled impostors predicted that they would do poorly. But when making the same predictions in private — anonymously, they were told — the same people rated their chances on the test as highly as people who scored low on the impostor scale.
In short, the researchers concluded, many self-styled impostors are phony phonies: they adopt self-deprecation as a social strategy, consciously or not, and are secretly more confident than they let on.
“Particularly when people think that they might not be able to live up to others’ views of them, they may maintain that they are not as good as other people think,” Dr. Mark Leary, the lead author, wrote in an e-mail message. “In this way, they lower others’ expectations — and get credit for being humble.”
In a study published in September, Rory O’Brien McElwee and Tricia Yurak of Rowan University in Glassboro, N.J., had 253 students take an exhaustive battery of tests assessing how people present themselves in public. They found that psychologically speaking, impostorism looked a lot more like a self-presentation strategy than a personality trait.
In an interview, Dr. McElwee said that as a social strategy, projecting oneself as an impostor can lower expectations for a performance and take pressure off a person — as long as the self-deprecation doesn’t go too far. “It’s the difference between saying you got drunk before the SAT and actually doing it,” she said. “One provides a ready excuse, and the other is self-destructive.”
In mild doses, feeling like a fraud also tempers the natural instinct to define one’s own competence in self-serving ways. Researchers have shown in careful studies that people tend to be poor judges of their own performance and often to overrate their abilities. Their opinions about how well they’ve done on a test, or at a job, or in a class are often way off others’ evaluations. They’re confident that they can detect liars (they can’t) and forecast grades (not so well).
This native confidence is likely to be functional: in a world of profound uncertainty, self-serving delusion probably helps people to get out of bed and chase their pet projects.
But it can be poison when the job calls for expertise and accountability, and the expertise is wanting. From her study, Dr. McElwee concluded that impostor fears most likely came and went in most people, and were most acute when, for example, a teacher first had to stand up in front of a class, or a new mechanic or lawyer took on real liability.
At those times feeling like a fraud amounts to more than the stirrings of an anxious temperament or the desire to project a protective humility. It reflects a respect for the limits of one’s own abilities, and an intuition that only a true impostor would be afraid to ask for help.
Perche' quel forzuto signore tenta di spingere la giraffa cona la spalla? In questi mesi hoa cquisito una discreta conoscenza dei resume canadesi o, probabilmente, nordamericani in genere. Ho imparato che si deve enfatizzare la propria preparazione, usando, nella descrizione di se stessi, aggettivi quali excellent, outstanding, superlative. Leggendo i resume questa sarebbe una Nazione di uomini e donne perfetti, tutti team worker, problem solving. La realta' si avvicina a questo, ma non sono proprio tutti perfetti. E quindi la sindrome dell'impostore qui non dovrebbe pagare. In sicilia, a livello politico, la sindrome dell'impostore ha una variante e sarebbe meglio definirla sindrome del ricattatore. Largamente usata dall'attuale presidente della regione, che prima di candidarsi dichiaro' che mai si sarebbe candidato per il centro destra; poi che mai si sarebbe alleato con partiti di centrdestra, poi che mai avrebbe appoggiato il governo berlusconi a livello nazionale. Tutte bugie, per ottenere poltroncine o poltroncione. Ma io mi chiedo: vale la pena calpestare la propria dignita', fare queste figure per avere una o piu' ville con piscina, la macchina metallizzata? Ma non lo sanno che tanto muoiono lo stesso e che queste cose nella tomba non c'entrano?
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